Home Primo piano Addio a Nik Spatari, l’artista sognatore che colorava i muri delle case distrutte dalle bombe

Addio a Nik Spatari, l’artista sognatore che colorava i muri delle case distrutte dalle bombe

by Samantha De Martin

C’ero stata qualche giorno fa nel mondo di Nik. Entrando nella “Rosa dei Venti”, metafora, dai tempi più antichi, della nautica mediterranea, avevo sperato, con il naso all’insù, di intravedere, dal soffitto trasparente che si insinua con discrezione nella casa privata di Nik ed Hiske, i loro gesti. Ma sono riuscita a scorgere solo lo schermo di un MAC, popolato da chissà quanti visionari progetti.

La Rosa dei venti, Musaba

Forse ho scoperto troppo tardi il sogno a colori di Nik Spatari, uno scrigno di luce in località Santa Barbara, non lontano dal centro di Mammola, un silenzioso paesino in provincia di Reggio Calabria sospeso tra l’Aspromonte e il mar Ionio.

Il progetto di Nik Spatari e Hiske Maas ha gli accenti del Mediterraneo e gli echi della cultura contemporanea, sa di fichi e cicale, conta le stelle di notte e, al tramonto, raccoglie le storie che arrivano dal mare, guarda ai linguaggi camuni e alle architetture paleocristiane, ai contorni di Picasso e all’armonia di Antonello da Messina.

Entrare in questo sogno è come compiere è un viaggio tra etnie e religioni, sfogliando una fiaba di sole e di luce che guarda al futuro senza staccarsi dalle proprie radici.

Capisco adesso perché il maestro calabrese giramondo aveva scelto questo cantuccio per snocciolare la sua innata passione per l’arte.

Raggiungo il promontorio di Santa Barbara che ospita i resti dell’antico complesso monastico certosino, testimonianza di una storia che risale al IV secolo. Dal 1193 al 1514 gli abati cistercensi, subentrati ai certosini, qui erano padroni, ma poi gli antichi abitanti si erano riappropriati di questi luoghi per rimanere a Santa Barbara fino al 1808.

Il bosco di bambù al Musaba

Sfido l’afa di agosto e mi addentro nel parco, tra i giardini mediterranei d’arte allestiti con cura da questa coppia di artisti che, in 50 anni, ha riversato la propria armonia tanto nell’arte quanto nel fresco avvolgente di centinaia di arbusti di specie diverse, piantati dopo aver recuperato il greto della fiumara Torbido e ampliando l’antico uliveto.

Sin dal parcheggio, dove l’area video-sorvegliata invita i visitatori al rispetto e alla condivisione della bellezza, mi sento avvolta dal sorriso a colori di Nik e Hiske, che si allunga tra i 70mila metri quadri percorsi da opere monumentali realizzate da maestri internazionali e dallo stesso artista calabrese.

Il progetto del Musaba prende vita nel 1969, a cavallo di quei moti culturali e politici (i moti di Reggio esploderanno l’anno dopo), sospinto dal soffio creativo dei due che, abbandonata la vita di società internazionale tra Brera e New York, decidono di piantare nei luoghi del mito, nel cuore di una Calabria ancora incontaminata, il loro sogno di arte e libertà.

ASCOLTA” il Musaba

Mentre raggiungo la “Cappella sistina calabrese” penso alla vita dell’ultimo artista sognatore. Nato a Mammola, classe 1929, Nik Spatari perde progressivamente l’uso della parola e dell’udito per via dello spostamento d’aria di una bomba sganciata dagli aerei anglo-americani. Non riuscendo a frequentare le scuole, diventa un instancabile autodidatta, forse un street artist ante-litteram o un Banksy degli anni Trenta, che distende vita sui muri delle case distrutte dalle bombe colorandole con una miscela rudimentale di pigmenti e tuorlo d’uovo.

Armato di pennelli e colori mentre gli altri, in un clima di conflitto sociale, nel periodo successivo alla guerra, brandiscono bombe, Nik segue il padre maresciallo tra le impervie balze aspromontane, da Roghudi ad Africo vecchio, da Bova a San Luca, da Polsi a Grotteria.

Dove gli altri seminano morte, in contrade ingrigite da guerra e povertà, Nik deposita murales che risuonano come balenii di speranza.

“ASCOLTA” il Musaba

Ma l’artista precoce, che a soli nove anni aveva vinto il premio internazionale di pittura dell’Asse Roma-Tokio-Berlino, cerca nuovi orizzonti. Le sue sperimentazioni lo spingono alla Biennale di Venezia nel 1958, e poi a Losanna, a Parigi, dove diventa allievo e collaboratore di Le Corbusier. Da Parigi arriva anche un aneddoto. Quando il poeta e sceneggiatore Jean Cocteau visitò una sua personale, attratto da una delle sue opere, la staccò dalla parete per portarla con sé, lasciando, dopo questo insolito furto d’autore, un biglietto di ringraziamento firmato.

Seguono l’amicizia con Picasso e Max Ernst che lo introdurrà alla tecnica delle “fratture terrestri”, i mosaici in vetro, le sculture, i murales, gli affreschi, e poi il soggiorno a Brera, l’apertura della galleria con l’artista olandese Hiske Maas, sua musa e compagna anche negli anni a venire.

Ma Nik è l’artista che ritorna. Nel 1969 si trasferisce nella sua Mammola, la terra promessa. Con Hiske sceglie Santa Barbara, scopre una grangia certosina del X secolo completamente in rovina e, dando inizio a un’avventura pionieristica, trasforma, tra non poche difficoltà burocratiche, l’antico insediamento in un parco museo che è anche scuola e laboratorio.

Così lentamente dal Musaba – Museo di Santa Barbara – iniziano a transitare Paolo Portoghesi e Achille Bonito Oliva, Burri e Schifano, Gallo e Rotella.

Raggiungo il Sogno di Giacobbe, incastonato nell’abside e nella volta nell’ex chiesa di Santa Barbara. È dedicato a Campanella utopista e a Michelangelo “astronauta” come Nik definiva il Buonarroti.

Nik Spatari, Il Sogno di Giacobbe, Musaba

A popolare la cosiddetta “Cappella Sistina calabrese” sono uomini e donne del nostro tempo, tutti muscoli, tendini e slancio di membra, gonfi di energia e sofferenza.

Le silhouettes ritagliate su fogli di legno, dipinte e applicate, sono un trionfo di luce.

Raccontava Nik che la Bibbia lo aveva ossessionato sin da bambino, quando sua madre riceveva in casa un settimanale cattolico che conteneva, a fascicoli, la Bibbia illustrata di Gustave Doré. Ma Nik aveva un debole per Giobbe, l’uomo abbandonato da Dio e dagli uomini, e per Giacobbe, l’uomo ossessionato dal doppio.

L’ombra della sera avanza. Nik aveva firmato anche questa silhouette di uomo allampanato, alta 15 metri. Evoca un bronzetto etrusco del 200 a.C. che ritrae un africano, lo stesso dal quale Giacometti ha attinto tutta la sua personale opera scultorea.

Nik Spatari, Concetto universale, 1983, Musaba

L’ Uomo/donna sorregge la pergola di uva fragola, il Concetto universale, mai come oggi, freme verso gli spazi siderali con i suoi raggi che si elevano all’infinito, una farfalla sbuca da decine di bottiglie di vetro colorato.

C’è il Punk, ricavato dal tronco di un olivo gigante e completato con pietre, sulla scalinata che conduce al Camaleonte e c’è la gigantesca lucertola rivestita in mosaico.

Guadagno l’uscita. “Se vuole fare contenta Hiske la prossima volta può portarle del gelato. Ne va matta” mi suggerisce la ragazza gentile che mi ha accolta nel tempio dell’arte.

Non ho chiesto cosa avrebbe sarebbe potuto piacere a Nik. Mi resta il rimorso di non aver chiesto di incontrarlo, per timore di disturbarlo.

“Grazie. Torna a trovarci e porta un amico” si legge, all’uscita del Musaba su uno dei piloni del viadotto della cosiddetta “strada dei due mari”.

Certamente, lo porterò. Ma sarà, senza dubbio, una visita con meno colore.

Nik Spatari, L’ombra della sera, 2006

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